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Un pomeriggio con Francesca Zoppi

Specialista dello sviluppo sostenibile per le Nazioni Unite

bar color
"Torno da New York tra due giorni - è un buon momento per te?".

È sempre un buon momento per incontrare una sostenitrice della sostenibilità, ma non potevo sembrare così entusiasta al telefono, così ho borbottato professionalmente "Sì, potrebbe funzionare" e ho chiuso la telefonata.

Non sarebbe stato il nostro primo incontro: Francesca Zoppi, specialista in sviluppo sostenibile, e io ci eravamo già incontrate a un evento sociale qualche mese prima. Mi era stata presentata tramite amici comuni a una di quelle cene in cui si conosce veramente una sola persona, a cui (non tanto segretamente) non volevo andare, ma andai comunque, perché che ne sai? Può sempre succedere qualcosa. Non è successo nulla, o meglio qualcosa è successo, ho conosciuto Francesca.

Tra una portata e l'altra ho subito percepito una personalità poliedrica, elegante nel portamento, morbida e ben educata che mi ha piacevolmente sorpreso, ancor prima di apprendere che negli ultimi anni ha sostenuto l'impegno del mandato delle Nazioni Unite nelle questioni riguardanti l'attuazione, il follow-up e la revisione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

E quando questo è emerso, ho capito immediatamente che dovevo avere lei per il mio prossimo pezzo. Personalmente ho sempre avuto la forte sensazione che la questione della sostenibilità fosse un po' nebbiosa: le informazioni ci sono, ma c'è tanta cattiva comunicazione e vengono fornite poche indicazioni su ciò che si dovrebbe fare. Perciò l'ho interpretato come un segno che era giunto il momento di approfondire l'argomento e di capire come migliorare il pianeta e me stessa nel processo.

Così ho preso appuntamento un venerdì alla Soho House di Roma, a cui mi sono abituata negli ultimi mesi e di cui amo l'intimità. Arrivo in anticipo, come è giusto, e la trovo elegantemente posizionata davanti al camino, nella sala principale, mentre sorseggia un tè allo zenzero. Personalmente avrei scelto il vino, ma mi piacciono già le sue scelte discrete. Dopo un caloroso abbraccio e qualche chiacchiera sul tempo, mi tuffo con la prima domanda.

Ok, Francesca, per non sembrare troppo ingenua (cosa che invece sono senza mezzi termini), cos'è la sostenibilità?

Lei accenna un sorriso. "È una domanda così ampia". Cominciamo dalle basi. Quando si parla di sostenibilità spesso ci si riferisce erroneamente solo alla dimensione ambientale, quando invece i pilastri su cui poggia la sostenibilità sono tre: economico, sociale e ambientale. Questo è il primo concetto fondamentale da acquisire. Prendiamo la sostenibilità economica: gli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo sono quelli che producono di più a livello economico, aggiungendo valore a uno dei punti obiettivo dell'Agenda 2030 (no hunger). Purtroppo, gli agricoltori non ricevono i giusti pagamenti, non hanno il metodo giusto né gli strumenti per creare uno strumento di finanza rurale. La sostenibilità economica, secondo la definizione, richiede che un'azienda o un Paese utilizzi le proprie risorse in modo efficiente e responsabile, in modo da poter operare in modo sostenibile e produrre costantemente un profitto operativo. "In questi casi, il nostro compito è quello di andare sul campo e lavorare con queste persone per dare loro gli strumenti".

Le dimensioni non sono unilaterali, ma si interfacciano e si intrecciano. L’obiettivo della sostenibilità è lavorare per le persone e per il pianeta, senza lasciare indietro nessuno.

La sostenibilità sociale è la capacità della società, o di qualsiasi sistema sociale, di raggiungere in modo persistente un buon benessere sociale, che include qualsiasi conflitto sociale che possa venire in mente. Mi racconta che attualmente sta lavorando a un progetto che riguarda la fame e le questioni di genere. "Si lavora in team. Io gestisco diversi team, sono molto collaborativa, ognuno ha le capacità per portare un risultato migliore. Non credo nella gerarchia, credo nel potere di squadra. Sono selettiva, ma do voce a tutti. Credo che per essere un leader si debba dare l'esempio".

Personalmente non avevo considerato la lotta di genere né la questione umanitaria come parte del percorso sostenibile del pianeta, lei invece mi fa notare quanto siano parte della stessa grande visione. Infatti, è proprio così che ha iniziato a lavorare su questo tema. "Sono sempre stata una persona interessata al tema del genere, crescendo in Italia per i primi anni sono diventata molto femminista, sentivo che le donne non avevano gli stessi diritti degli uomini. Poi ho incontrato una persona che mi ha fatto conoscere questo mondo ecosostenibile, tutto quello che avevo fatto per il genere e i diritti umani l'ho riportato nel mondo sostenibile, che poi è un po' la stessa cosa se ci pensi. Lavoravo con le ONG, facevo volontariato per i senzatetto. All'epoca lavoravo per Amnesty International UK, che stava facendo la differenza, ma eravamo sempre in attesa del via libera delle Nazioni Unite, così sono andata alla fonte, che è il luogo in cui lavoro ora".

Dai dettagli dei suoi racconti percepisco la passione e l’orgoglio che nutre nei confronti del lavoro che svolge, e, non di poca considerazione, noto un’agenda piena di impegni!
Oltre a ricoprire il ruolo di consulente per i governi, lavora a fianco del settore privato con il quale organizza incontri, eventi, conferenze e, ultimamente, si occupa anche con passione di moda sostenibile. Tuttavia la moda sostenibile è ancora molto costosa, solo alcune classi sociali possono accedervi, ma lei mi assicura che è un problema che si sta risolvendo. Prima le fibre costavano così tanto che lo stilista non poteva permettersi di acquistare quei materiali. Questo sta diminuendo, poiché c'è più sensibilità, c'è più richiesta, e automaticamente il costo è in forte calo.

La percepisco incredibilmente fiduciosa nel futuro: la sostenibilità è quindi insegnabile?

"Sì, non senza un conflitto, ma sì". Dipende dalla nazione, alcune sono più accoglienti, altre più respingenti, a seconda del senso civico. I Paesi nordici, ad esempio, continua, hanno già una forte concezione della sostenibilità, hanno le giuste risorse economiche e investono nei diritti umani. I Paesi mediterranei sono diversi, in Italia Francesca dice di trovare gente sempre un po' scettica, soprattutto se si parla di governo, di aspetti politici, solo il 20% si informa bene, gli altri vogliono evitare. "È per questo che passo molto tempo a fare conferenze nelle scuole e in eventi privati. Credo che la conoscenza sia la chiave del cambiamento. Stiamo cercando di cambiare un comportamento. E’ importante che educate voi stessi e i vostri amici".

E dopo un ultimo sorso di tè allo zenzero, potrei concludere la giornata qui, ma ho ancora un'ultima domanda, un po’ controversa, che ho aggirato in punta di piedi fino ad ora. Mi esce, quasi senza approvazione.

Diventare vegani fa parte del pensiero sostenibile? (ride) "Non sono sicura di voler rispondere". Ma ormai siamo diventate amiche, quindi glielo chiedo di nuovo. Risponde dicendo che è stata vegetariana per 10 anni, ora non piu’, ma che sceglierà sempre, quando le verrà data la possibilità, di mangiare cibo sostenibile, a kilometro 0 e senza aggiunta di fertilizzanti. "Dunque, non credo che essere vegani significhi essere necessariamente sostenibili, il cambiamento climatico sta soffrendo di più a causa delle sigarette, degli autobus e dei cattivi trasporti. Sì, mangiare carne ha un impatto, ma non è la stessa percentuale di tante altre cose di cui potremmo fare a meno. Comunque, qualsiasi cosa decidiamo va bene, fate la vostra scelta verso la sostenibilità, qualsiasi passo vi si addica di più è ben accetto".

Con il sorriso di una bambina che ha appena ricevuto lo zuccherino dal dentista, sono più che soddisfatta della risposta e saluto questa incredibile serata e Francesca con una nuova consapevolezza: grazie ai miei progetti umanitari stavo già lavorando per un pianeta più sostenibile, solo che non lo sapevo ancora.

By Miriam Vanessa Gagino
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